Viviamo in un’epoca in cui la fotografia è diventata istantanea, illimitata, quasi automatica. Ogni giorno vengono caricate oltre 1,8 miliardi di immagini tra Instagram, TikTok e Google Foto.
Scattiamo per documentare, non per osservare. Produciamo, non contempliamo.
Eppure, negli ultimi anni, un numero crescente di artisti e appassionati ha deciso di rallentare. Di tornare al gesto lento della pellicola, al tempo di attesa dello sviluppo, al rischio dell’errore.
La fotografia analogica è tornata, ma con un significato diverso: non più esercizio nostalgico, ma forma di resistenza culturale.
La nuova generazione analogica
A guidare questo revival non sono i nostalgici degli anni ’90, ma i nati nel nuovo millennio.
Secondo i dati di Kodak Alaris, le vendite globali di pellicole fotografiche sono cresciute del 40% tra il 2018 e il 2023, e piattaforme come Etsy o Depop hanno registrato un aumento del 60% di macchine fotografiche vintage vendute nell’ultimo biennio.
Molti giovani scelgono l’analogico per un motivo semplice: scattare in pellicola obbliga a guardare davvero. Ogni click ha un peso, ogni inquadratura richiede tempo e concentrazione.
La lentezza diventa una forma di mindfulness visiva, un modo per riappropriarsi del tempo e dello spazio.
Il valore dell’errore
Nell’era del filtro perfetto e della nitidezza assoluta, la pellicola celebra il contrario: la sfocatura, la luce sbagliata, la grana, la casualità chimica.
L’errore diventa estetica.
Artisti come Petra Collins o Tyler Mitchell hanno reso la “fragilità visiva” un tratto stilistico distintivo, traducendo l’imperfezione in emozione.
L’analogico ci ricorda che la bellezza non nasce dal controllo, ma dall’imprevisto.
In un mondo dove ogni pixel è modificabile, un fotogramma che non si può replicare ha un valore nuovo, quasi spirituale.
Ibridi e contaminazioni
Il confine tra digitale e analogico non è più netto.
Molti fotografi oggi scansionano i propri negativi per manipolarli digitalmente, o usano AI per simulare texture analogiche.
Questa contaminazione non snatura la pellicola: la rende contemporanea.
È un dialogo continuo tra passato e presente, dove il negativo diventa un punto di partenza per una narrazione nuova.
Come scrive Alec Soth: «Scattare in pellicola oggi è un atto di fede nella lentezza».
E proprio in questa lentezza si nasconde la vera modernità.
Il fascino dell’attesa
Forse è questo il segreto del ritorno alla fotografia analogica: l’attesa.
In un mondo dove tutto è immediato, attendere lo sviluppo di un rullino è un atto quasi poetico.
Significa accettare che non tutto deve essere subito visibile.
Che il tempo — anche nel digitale — può ancora essere un alleato creativo.


