Oggi l’algoritmo decide cosa è bello, cosa merita attenzione e — soprattutto — cosa vediamo.
Ogni giorno su Instagram vengono condivisi più di 95 milioni di post, secondo i dati di Statista 2025.
E non è l’utente a scegliere cosa appare nel proprio feed, ma un sistema di intelligenza artificiale che analizza centinaia di segnali: tempi di visualizzazione, commenti, salvataggi, perfino la luminosità delle immagini.
Uno studio pubblicato su MIT Technology Review nel 2024 ha mostrato che le immagini con tonalità calde, volti centrali e bassa complessità visiva ottengono fino al 37% di engagement in più rispetto a quelle che si discostano da questi parametri.
In altre parole, l’algoritmo ha imparato una cosa: più un contenuto è immediato, più è virale.
Così, la creatività diventa una forma di ottimizzazione.
La forma invisibile del successo
L’estetica dei social è oggi standardizzata da parametri invisibili, ma potentissimi.
Le immagini devono “funzionare” entro pochi secondi, nei formati verticali del feed, con un equilibrio cromatico che catturi l’occhio anche a bassa risoluzione.
Secondo il report Hootsuite Social Trends 2025, 7 brand su 10 nel settore moda e beauty dichiarano di adattare i propri contenuti “per essere più facilmente interpretati dagli algoritmi”.
La piattaforma, in sostanza, è diventata il nuovo direttore creativo.
Da Balenciaga a Jacquemus, molte campagne vengono concepite per “rompere il feed”, con inquadrature studiate per differenziarsi senza perdere leggibilità.
Eppure, paradossalmente, questa ricerca di unicità genera un effetto opposto: omologazione.
L’estetica virale tende a ripetersi — stessa luce, stessi toni, stessa sensazione di “bello riconoscibile”.
La creatività addomesticata
Questo paradigma ha riscritto il processo creativo.
I fotografi digitali scelgono inquadrature e post-produzioni ottimizzate per i social; i brand testano migliaia di varianti dello stesso scatto attraverso A/B test automatizzati; le piattaforme privilegiano ciò che genera tempo di permanenza.
Il risultato? Una cultura visiva sempre più prevedibile.
Secondo Visual Capitalist, oltre l’82% dei contenuti più popolari su TikTok segue schemi visivi ripetuti: medesime palette cromatiche, espressioni facciali, ritmi di montaggio.
Anche la fotografia di moda si adatta. La luce piatta, i fondali neutri e la composizione centrata funzionano meglio nel feed mobile.
È la creatività addomesticata: spontanea in apparenza, ma programmata per performare.
La controcultura dell’imperfezione
Non tutti, però, accettano le regole del gioco.
Un movimento sotterraneo di artisti, fotografi e designer sta reagendo alla logica algoritmica.
Progetti come This Image Is Not For You di Tyler Shields o le campagne “analogiche digitali” di Maison Margiela dimostrano che l’imperfezione può diventare la nuova forma di differenziazione.
La saturazione dell’immagine perfetta spinge alla ricerca del disordine visivo, dell’imprevisto.
Secondo il Pinterest Trend Report 2025, ricerche come “raw photography” e “anti-aesthetic” sono cresciute del 140% rispetto all’anno precedente.
Ritrovare il nostro sguardo
Forse la vera sfida oggi non è più catturare attenzione, ma recuperare profondità.
L’algoritmo ci mostra ciò che funziona, non ciò che ci rappresenta.
Ritrovare il proprio linguaggio visivo — nel design, nella moda, nella fotografia — significa accettare di non piacere a tutti.
E forse è proprio questo il lusso contemporaneo: poter essere invisibili, ma autentici.
Come scriveva Susan Sontag, “fotografare è un modo di affermare l’esistenza”.
Nel 2025, questo significa scattare anche quando l’algoritmo non guarda.


